Pubblicato su il reporter – Bellezza
Si viaggia per svago, per abitudine, per vivere esperienze ed emozioni nuove, per conoscere… ma forse e soprattutto, come scriveva Leonardo da Vinci cinquecento anni fa, si viaggia alla ricerca della “naturale bellezza del mondo“. Non è forse questo desiderio di bellezza la spinta che ci muove ad abbandonare “le abitazioni della città, a lasciare li parenti e li amici ed andare in lochi campestri per monti e valli?“.
Bellezza. Una parola difficile perché logorata dall’uso. Una merce reclamizzata ovunque, ma sempre più rara. Per secoli il nostro paesaggio, cioè il luogo dove l’uomo incontrandosi con la natura l’ha fatta sua in un fecondo accoppiamento, è stato sinonimo di bellezza. Ancora oggi possiamo godere di superbi scorci e magnifiche visioni di questo recente passato, quando eravamo naturalmente sintonizzati sul bello. Lentamente e subdolamente il brutto ha invaso il nostro quotidiano sotto forma di letali ferite all’ambiente, cementificazione selvaggia e dubbie prove d’architetto. Ci dicono che è il prezzo da pagare a progresso e comfort. Così evadiamo da città sempre più estese, degradate e omologate, per ritrovarci fra i colori dei mercati e la naturale grazia delle popolazioni indigene, per perderci nel silenzio dei deserti, farci avvolgere dalla vertigine delle montagne o, più semplicemente, per abbandonarci alla quiete di un’isola. Ma, in fondo, sempre, per cercare la bellezza e con essa ritrovare l’armonia con il nostro io più profondo. E il viaggio è in grado di risvegliare il naturale gusto del bello sempre più atrofizzato. Perché è scoperta del nuovo, e delle cose nuove si è portati a guardare l’aspetto estetico. Ma anche perché il viaggio aumenta le facoltà percettive e allarga gli orizzonti Via da casa, mi accorgo di amare anche il “brutto”. O meglio, il disordine naturale, i colori che fanno a pugni ma forse no, gli oggetti passati di moda, gli odori dei mercati, le rughe che disegnano i volti, l’imperfezione. Un mondo dove non tutto è sotto controllo, avvolto nella plastica, di misure standard e con il marchio di qualità. Un mondo capace di trovare una sua naturale armonia dove ancora non è stato sedotto e stravolto dal nostro modello formato esportazione (comunque la versione peggiore). Anche parlando di arte, massima espressione del bello, è proprio la conoscenza di civiltà altre che ci ha permesso di allargare i nostri orizzonti estetici e culturali. Primi furono pittori come Braque, Picasso e Matisse, sedotti da quell’arte “primitiva” che solo quando fu accolta nelle collezioni dell’Occidente acquisì l’imprimatur di “vera” arte. Grazie a queste avanguardie, ma grazie anche ai viaggi, oggi apprezziamo artefatti tanto diversi dai nostri, o meglio, ne ammiriamo quella bellezza che istintivamente siamo in grado di riconoscere, anche se non sempre ne comprendiamo i significati nascosti e il complesso simbolismo. Picasso stesso ammetteva: “Non so nulla di questa maschera, sento solo che emana una grande forza“. Allora andiamo alla ricerca del nostro Paradiso Perduto, di quello Shangri-La nascosto fra le vette dell’Himalaya o le montagne fuori casa. Senza dimenticare che è qui, dentro di noi e nel paesaggio dove le nostre radici affondano, che dobbiamo ritrovare armonia e bellezza. E che lontano non è necessariamente sinonimo di bello. Partiamo consapevoli di possibili delusioni, perché sempre più spesso l’altrove sognato riflette, almeno in superficie, un’immagine deformata dell’Occidente. E perché camminando il mondo, soprattutto ma non solo il sud del mondo, incontriamo anche miseria e degrado, situazioni in cui inevitabilmente non possiamo non provare un misto di disagio e impotenza. Ma queste sono altre “Parole Nomadi”. Oggi voglio iniziare e terminare in “Bellezza”.
A.M.