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Un prezzo che non vogliamo pagare

E’ difficile trovare in tutta la Brianza un abitato che sia rallegrato da una più ampia bellezza di paese, che goda di solitudini vegetali più leggiadre e pittoresche. Massime verso levante dove il colle canturino scende per una serie di lente e vaste poggiate verso le bassure del Pian d’Erba. Là per parecchie miglia è un avvicendarsi di folte pinete, di solitarie radure, di colli boscosi interrotti da lunghe piane deserte e dove ancor pare sentir alitare lo spirito selvaggio dei vecchi druidi.” E’ una descrizione di Cantù e delle sue campagne scritta nel 1926, meno di cent’anni fa, da Carlo Linati sul Corriere della Sera. Cosa possiamo scrivere oggi? Cosa ci è rimasto di quel prezioso patrimonio naturale, paesaggistico e architettonico descritto da Linati e fatto di colline, boschi e cascine che le generazioni precedenti erano state capaci di salvaguardare tramandare? Purtroppo è rimasto poco e anche quel poco è ora minacciato dal MOSTRO…

Cosa potremo scrivere fra dieci anni, dopo che il MOSTRO della nuova AUTOSTRADA VARESE-COMO-LECCO  ferirà quel che rimane della nostra preziosa brughiera con una scura striscia di asfalto a sei corsie, con la violenza di luci sempre accese nella notte, con il rumore e i gas di scarico del transito quotidiano di 40.000 fra auto e TIR, con i tentacoli di svincoli, bretelle, cavalcavia e viadotti? Il tutto in aggiunta all’autostrada Pedemontana nell’asse est-ovest fra Varese e Bergamo già appaltata…

Poco più di un anno fa la Cassa Rurale e Artigiana di Cantù aveva pubblicato il volume “La casa contadina nel canturino” per preservare almeno la memoria di paesaggi ormai rari o irrimediabilmente perduti. L’ampio corredo di immagini che accompagna gli scritti di Tiziano Casartelli, più che la sopravvivenza testimonia la scomparsa di interi complessi architettonici di straordinaria bellezza, di cascine ormai ridotte a ruderi come la bellissima Santa Naga o diventate irriconoscibili per l’aggiunta di strutture moderne o perché fagocitate dal tessuto urbano e industriale. Nella prefazione del volume si legge: “Le riprese a volo d’uccello… permettono di… scoprire che, fra tanti scempi che risuonano come una sconfitta irreparabile di tutta una generazione, il paesaggio brianteo custodisce ancora scorci che hanno saputo conservare la loro originaria integrità”. Sì, ancora sopravvivono pochi preziosi scorci che permettono d’immaginarne la perduta bellezza. Fra dieci anni non ci saranno più neppure quegli scorci, se il MOSTRO verrà approvato nelle sue varianti che attraversano la brughiera su viadotti esterni, e non interrato in galleria come da progetto iniziale, ovviamente più costoso. Oggi si può ancora camminare lungo i percorsi-natura dell’Oasi del Bassone, per il WWF una “zona ad ecosistema particolarmente raro o minacciato” dove sono state censite un centinaio di specie animali, o percorrere in bicicletta, a cavallo e a piedi i sentieri della brughiera che da Capiago Intimiano conducono verso Orsenigo, con le risorgive che danno vita al torrente Terrò e con antiche cascine sopravvissute nei secoli. Alcune di queste cascine non sono ruderi, anzi, hanno preservato e valorizzato le antiche strutture, mantenendo la vocazione agricola e affiancandovi attività legate al tempo libero. La cascina Ca’ Nova dove generazioni di contadini continuano a lavorare la terra. La cascina Chigollo con l’annesso centro sportivo “Il Grillo”, con un maneggio coperto per l’ippoterapia per il recupero di persone con disabilità, allevamento cavalli, spazi abitativi “come una volta” e un ristorante. E a meno di mezzora a piedi, la Cassinazza, perfettamente ristrutturata e divenuta un agriturismo molto

frequentato con parco giochi e spazi per attività di accostamento all’ambiente rurale per i più piccoli. Sono aree e strutture aperte e di fatto a uso pubblico, preservate grazie all’iniziativa, al sacrificio e all’ostinazione di privati. Ora dovrebbero essere salvaguardate con l’ambiente che le circonda come un patrimonio inestimabile dell’intera comunità depredata negli anni del boom come in quelli della crisi da politiche irresponsabili e da lottizzazioni volte solo a produrre ricchezza per pochi a scapito della distruzione dell’ambiente di tutti. La costruzione dell’autostrada a pagamento Varese-Como-Lecco è per queste oasi una condanna a morte certa. Così come va a ledere anche il Parco Lambro e il Parco Pineta di Appiano. E in più il traffico locale sarà appesantito in tutta la rete stradale attigua con caselli e  code di auto in entrata e uscita dall’autostrada. Una colata di cemento ferirà per sempre gli ultimi prati e boschi sopravvissuti allo scempio ambientale di cui tutti siamo testimoni in quella che è l’area più densamente abitata e urbanizzata della Lombardia e dell’intero Paese, ormai una megalopoli senza soluzione di continuità che da Milano si allarga sull’intera pianura divorando sempre nuovi spazi verdi.

Le domande che rivolgiamo a chi ci governa da cittadini e da abitanti di quel che avanza delle nostre campagne sono: “E’ davvero necessaria un’autostrada che di fatto al posto di alleggerire il traffico lo appesantirà e che, come tutte le autostrade per il loro stesso meccanismo a pagamento e le entrate ai caselli, servirà un’utenza di tipo esterno più che locale? Ammesso e non concesso che se ne dimostri la necessità, perché non costruirla come da progetto originario interamente in galleria a doppia canna così da limitare al massimo il danno all’ambiente?”

Il solo prezzo che non vogliamo pagare è la distruzione delle ultime oasi di verde e di un ambiente rurale che appartiene a noi tutti e alle future generazioni.

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A.M.