Una riflessione sull’amore in risposta a un uomo che all’amore rinuncia per essere libero di “voler bene” alle donne che ama o ha amato (detto così sembra complicato, ma è, con qualche variante, il solito triangolo con il suo inevitabile carico di sofferenza)
Ho provato nella vita dei momenti perfetti (o quasi perfetti). Alcuni in solitudine in luoghi speciali, altri con persone speciali, altri con uomini che ho amato (speciali? Per lo meno così ci si illude sempre, poi, quando l’uovo si rompe, si scopre la sorpresa…). Prendo spunto per la mia riflessione da una foto scattata il mese scorso in Ladakh, un’immagine simbolica e piuttosto diffusa nell’arte buddhista, che rappresenta una divinità maschile nell’atto di unione sessuale con la consorte. Potrebbe sembrare una posizione di quel Kamasutra da noi occidentali spesso ridotto a semplice performance erotico-sessuale, ma per i buddhisti questa immagine è la sacra unione cosmica, il “momento perfetto” appunto. E non è casuale che sia rappresentato da un accoppiamento fra divinità. Così come questa immagine ha un significato molto più ampio dell’amplesso che vi è raffigurato, anche il rapporto d’amore è un insieme complesso e non certo riducibile al solo aspetto sessuale, che pure ne è parte importante (affermazione scontata, ma premessa necessaria se qualcuno pensa che la discriminante fra amore e voler bene sia semplicemente sesso sì o no).
Cos’è l’amore? E’ intimità profonda. Quella che non si può avere con amici o amiche di lunga data e neppure con ex compagni con cui si è rimasti in buoni rapporti. Quella che nasce dalla magia di un incontro con un essere cui ti senti profondamente attratto e affine per vissuto, passioni e modi di sentire. Alla conoscenza reciproca segue quell’intimità dove l’affetto si mescola all’erotismo e alla complicità, alla voglia di condivisione e di progettazione, perché senza progetti tutti i rapporti sono effimeri. Se si ha la fortuna di un incontro con un’anima gemella e se ce ne sono le condizioni, è naturale desiderare che lui/lei diventi il compagno/a con cui condividere quell’intimità fatta di pensieri e di corpi, di momenti perfetti e anche imperfetti, che chiamiamo per semplicità amore.
Un aspetto spesso contraddetto dai fatti è l’esclusività del rapporto. Difficile oggi credere in quel “finché morte non vi separi” che era legge fino a poche generazioni fa. Se non è realistico quel “per sempre”, lo è il “qui e ora” e una scelta rinnovata giorno dopo giorno. Certo si può essere attratti anche da più di una persona allo stesso tempo, ma la mia personale conclusione, spero scevra da falsi moralismi e condizionamenti, è che, se un rapporto appaga, cedere alla “curiosità” e cercare evasioni in altre possibili intimità complicherebbe solo la vita e sarebbe l’eutanasia di un amore. In fondo è come in un viaggio: se si vuol vedere troppo i problemi aumentano e si rischia di perdere in profondità e spesso anche in piacere.
Se poi la vita, come spesso accade, ci toglie quel che ci aveva dato, è ancora un proverbio buddhista che ci può aiutare a continuare il nostro cammino: “Alla fine solo tre cose contano: quanto hai amato, come gentilmente hai vissuto e con quanta grazia hai lasciato andare cose non destinate a te”.
Anna
P.S. Mi scuso se con questo post, facendo riferimento a persone e fatti reali, posso avere toccato qualche corda sensibile, ma ho cercato di depurare lo scritto dalle vicende personali se non lo stretto necessario per contestualizzare le mie riflessioni che davvero non sono elucubrazioni gratuite. Sono stata incerta se condividere questi pensieri attraverso uno strumento pubblico come il blog, ma in fondo il blog non è altro che il proprio diario online e non ho nulla da nascondere. Una riflessione seria sul proprio vissuto aiuta a capirlo, a superarlo, a farne tesoro e condividerlo può essere liberatorio per sé e forse di aiuto ad altri. Non ultimo, diversi amici, virtuali e non, che in questi tre mesi mi hanno vista rabbuiata e hanno letto sui social network dei miei messaggi non sempre facili da interpretare, mi avevano chiesto spiegazioni. Questo post è una risposta a loro e un momento di condivisione di un tema, l’amore, più intimo del viaggio ma che al viaggio assomiglia. Nel mio libro Il Mondo nelle Mani ho scritto: “Il viaggio in fondo assomiglia all’amore: quel misto di timore e di attrazione per ciò che sta là fuori sono gli stessi che si provano per il partner, lo stupore della prima volta in un luogo ricorda quello del primo incontro, la curiosità della scoperta dell’altrove somiglia alla scoperta dell’altro. E poi il piacere dell’avventura, il senso di leggerezza, l’abbandono a nuove emozioni ed esperienze sensoriali, gli occhi che si fanno attenti alle sfumature, il mondo che ha nuovi colori e sapori. E anche, nel viaggio come nell’amore, non mancano ansie, fatiche, patimenti e imprevisti di percorso, perché dentro alla passione c’è sempre anche un poco di pathos, di “patimento”. Non manca neppure, come nell’amore, il rischio della delusione, perché da entrambi ci si aspetta sempre molto, forse troppo. E infine c’è il piacere del ricordo, qualche volta anche migliore del vissuto, perché è dimostrato che la memoria tende a selezionare il bello e a rimuovere il resto”.
Per concludere, visto che prendere le cose che vengono con un po’ d’ironia è sempre salutare, aggiungo in calce le sagge parole di Snoopy e riassumo il mio stato d’animo con parole più chiare per fugare dubbi: in questi mesi ero in “pause” (pausa di riflessione, in questo caso subita), ora sono in “stop” (lutto), spero di premere un giorno di nuovo il tasto “play” (never say never, in fondo sono solo una splendida 50enne!). In estrema sintesi: sono sempre dispari 🙂 e di nuovo single 🙁
Anna
Della serie: la prossima volta ci starò più attenta…
Per chi invece, per passare dal profano al sacro, volesse sapere qualcosa in più sulla foto d’apertura, rappresenta il dio Guhyasamaja con la sua consorte Sparsha Vajra ed è uno dei tantra più antichi e forse il più esplicito per quel che riguarda la pratica psico-sessuale del tantra. Qui trovate un’esauriente spiegazione dello Yab-yum (in Tibetano “padre-madre”).