Lo spunto è una poesia di Erri de Luca che si intitola proprio “Valore”. Con la sua scrittura scarna e diretta, l’autore racconta quelli che lui considera valori. Cose semplici, minute e quotidiane: la neve, la fragola, la mosca, ogni forma di vita e la bellezza del mondo dal regno minerale alle stelle. E i gesti: risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, provare gratitudine senza ricordare di che, un sorriso involontario… E poi sapere dov’è il nord e qual è il nome del vento, il viaggio del vagabondo come la clausura della monaca… Ma, termina l’autore, “molti di questi valori non ho conosciuto”.
Mi sono allora chiesta quando mi è capitato di sperimentare valori come questi, in cui anch’io mi riconosco. E mi sono venuti in mente soprattutto attimi e situazioni di viaggio. Perché? Una risposta è la frase di Ibn Battuta, il Marco Polo del mondo arabo: “Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini”. E’ però un’affermazione che soltanto i patiti di viaggio possono sottoscrivere, anche se sembra essere ancora più appropriata oggi, visto che solo in alcuni angoli di mondo ritroviamo valori che ci appartenevano, ma che abbiamo perduto nel passaggio dalla società agricola a quella urbana, industriale e tecnologica. Un’altra parziale risposta è che la società occidentale, che pure ha portato all’elaborazione di un codice di altissimo valore etico, riassunto nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, si dibatte ora in una profonda crisi alla cui base è non solo un modello economico che ha rivelato i propri limiti, ma soprattutto una certa confusione, altrimenti detta mancanza di valori. Abbiamo infatti capito che i nostri valori non sono i soli e che, sempre che siano i migliori, non sono comunque universalmente applicabili. Così ci rinchiudiamo nelle nostre fragili certezze, aggrappandoci alla difesa di un’immagine sbiadita e di simboli ormai svuotati di senso. Anche per la parola stessa “valore”, da sempre portatrice di un duplice significato numerico ed etico, oggi inevitabilmente prevale il primo in una società dove tutto viene ridotto al rango di merce valutata in base al suo prezzo. Così come frequentemente succede anche per il prodotto viaggio. Aveva proprio ragione l’amato Oscar Wilde quando, più di un secolo fa, scriveva: “Oggi si conosce il prezzo di tutto e il valore di niente”.
Ma alla mia domanda iniziale sul perché il viaggio è spesso capace di farci ritrovare valori veri, c’è un’altra possibile risposta ed è quella che più mi piace, perché capace di speranza. In viaggio, quando è vero viaggio, anche se siamo solo di passaggio, siamo permeabili e aperti a esperienze nuove, disponibili all’incontro con il diverso e all’osservazione anche delle cose più semplici, spesso nemmeno notate nella routine quotidiana. Ed è proprio attraverso il confronto con l’altro e l’attenzione alle piccole cose che si definiscono identità e si riscoprono valori. Questo non significa fare propri i valori altrui. Al contrario significa riscoprire la propria tradizione e cultura per esserne non portatori come pretendevano di fare crociati e conquistadores di nuovi mondi, ma testimoni. Significa superare i pregiudizi e gli stereotipi che ci portiamo dietro. E anche quelli di cui siamo vittime, visto che l’immagine della nostra società veicolata dall’informazione globalizzata è quella offerta dal mondo di finzione delle soap operas, dai disvalori dei fatti di cronaca e non ultimo anche da un turismo non sempre rispettoso di luoghi e culture.
Non voler conquistare né essere conquistati dunque, semplicemente cercare di fungere da tramite fra culture diverse, così come lo sono stati i nostri emigranti e dovrebbero esserlo gli immigrati di oggi nei paesi di adozione. E scoprire dietro alle differenze come dietro alle contaminazioni della globalizzazione, gli stessi valori profondi di una condizione umana comune al di là dello spazio, del tempo e delle appartenenze.
Per continuare la riflessione: Tuavii di Tiavea, Papalagi, Stampa Alternativa. Lo sguardo dell’altro sui nostri valori.
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A.M.
Pubblicato su il reporter
Post scriptum al post… Avevo iniziato a scrivere questo post prima della partenza per il viaggio nel nord dell’Etiopia, da dove sono da poco rientrata, riflettendo sulla poesia “Valori” inviata agli amici come augurio per il nuovo anno. Una riflessione che il viaggio ha reso più sofferta e vera. Lì ho rivisto Tilahun, incontrato ragazzino quasi per caso sette anni fa e ora diventato uomo. Uomo perché capace di valori, quelli sani, quelli che nutrono i sogni e i sentimenti. Ho riflettuto sui nostri valori, quelli che sembrano capaci di esprimersi sempre e solo in numeri. Non sono mai stata forte in matematica. E ho capito che non sono fatti per me. Ancora una volta, si cambia. Anna