“Come le rondini” è un mio racconto breve, vincitore del primo premio alla terza edizione del Festival del Turismo Responsabile “i.ta.cà, migranti e viaggiatori” in corso a Bologna e che aveva per tema il ritorno verso una casa simbolica o reale. Eccolo.
Ci sono viaggi di sola andata. Come quelli dei migranti: per molti di loro il ritorno rimarrà sempre soltanto un’acuta e inappagata nostalgia. E’ successo poco più di un secolo fa a molti dei nostri nonni: chi non poteva restare, emigrava, ma solo chi riusciva, tornava.
E’ successo a mio nonno Rinaldo, da tutti soprannominato “Mericàn” per i suoi anni a Lima. Andò in Perù, giocò la sua carta fortunata e fu fra i pochi che tornarono a casa. Era partito con un biglietto di terza classe e un fagotto di speranze e sogni. Tornò da signore nella cabina di prima classe di un transatlantico, con una moglie e un figlio per mano, mio padre. Con lui aveva anche un grande baule che ancora conservo. Quando lo guardo penso alla duplice eredità che mi ha lasciato questo nonno eroe normale e viaggiatore per necessità: lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra.
Forse è per questo mio essere un po’ nomade e un po’ stanziale che amo così tanto le rondini. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini”, scriveva Paul Morand. Ogni primavera guardo il cielo per salutarne l’arrivo. E nel rivederle provo sempre una grande emozione, quasi fosse un miracolo il loro istinto infallibile per la direzione, la loro capacità di ritrovare anno dopo anno i loro nidi qui nella cascina del nonno dove vivo. A settembre le guardo raggrupparsi e prepararsi alla nuova partenza, questa volta verso sud, ma sempre per tornare a casa. Con il loro volo leggero e veloce sembrano volermi invitare al viaggio. Il Mediterraneo e oltre, il deserto, e oltre, l’Africa…
Anch’io, come loro, ho la tendenza a migrare, ma, potendo scegliere, preferisco non dover “e-migrare”. Viaggio sempre con un biglietto di ritorno in tasca e rientro così a pieno titolo nella categoria del “turista”, sia in senso etimologico (da tour, ‘giro’), sia soprattutto in base alla citatissima definizione di Bowles. E non mi dispiace. Soprattutto mi seccherebbe non ritornare. Come per le rondini e come per il nonno, anche per me il ritorno è necessario. Per avere un nido dove lasciare sedimentare esperienze e ricordi e soprattutto perché è qui che ci giochiamo la vita.
Un mese o un anno altrove, ma poi, dietro a una leggera curva riappaiono sempre i luoghi a me familiari, rassicuranti custodi di storie, ricordi e legami. E’ un paesaggio intimo e segreto, un secondo imprinting che si è mescolato a quello genetico e che è diventato parte inscindibile di me.
Io sono questa terra e quest’aria, questi orizzonti e questi profili di colline, questa lingua e questi sapori. Io sono come quest’albero, con le radici che affondano nel suolo e i rami che si allungano verso il cielo.
L’importante è ripartire, sempre, come le rondini.
Un consiglio di lettura? Il bellissimo “Viaggiatore notturno” di Maurizio Maggiani, dove il protagonista attende nel cuore del Sahara il passaggio delle rondini.
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